La base legante era ovviamente la calce.
Per la semina si riprendevano tutti gli scarti delle lavorazioni del marmo, materiale più prezioso in quanto molto più difficile da lavorare, che venivano poi frantumati e selezionati. La parte sottile veniva impastata assieme al cocciopesto per fare la base del terrazzo, la parte più grossa utilizzata come semina.
Durante i restauri notiamo differenze tra i vari pavimenti, nei palazzi più prestigiosi venivano utilizzati marmi preziosi ad oggi introvabili mentre nelle situazioni più comuni marmi locali o di facile reperimento. Particolari sono alcuni dei materiali utilizzati a Venezia dove gli artigiani friulani, notando la scarsità del marmo utilizzabile, facevano arrivare sassi colorati recuperati soprattutto dai greti del Meduna e del Celina. I pavimenti risultavano così ancor più duri e resistenti con colorazioni caratteristiche.
Particolare è il sasso chiamato Verde Piave che da sopra l’abitato di Sappada rotolava fino in valle dove veniva recuperato, rotto e selezionato per essere utilizzato nelle situazioni più particolari.
Un altro materiale molto ricercato era il clap fiât, in dialetto friulano il "sasso colore del fegato".
In questo si inserisce una storia di lavoro femminile non molto conosciuta ma che ben ne dimostra la tenacia e la forza.
Finché gli uomini lavoravano a Venezia per posare i pavimenti, erano le donne si adoperavano per recuperare i sassi nei fiumi, preparare la graniglia e portarla con i carri fino al mare o alla prima via d’acqua navigabile per portarli poi a Venezia. Era un lavoro non meno pesante di chi poi lo realizzava.